Jean
Robert - LA RAPINA IMPUNITA – COME EVITARE CHE IL RIMEDIO SIA PEGGIORE DEL
MALE
2014, pagg 234 Ediz. Museodei, Riola (Bologna) www.museodei.com
Aldo
Zanchetta aldozanchetta@gmail.com
– www.kanankil.it
Un
libro sulla ‘crisi’ scritto da uno storico dell’urbanistica criticamente
attento ai problemi della mobilità, costituisce una singolarità interessante.
Non è quindi sorprendente che l’autore si definisca ‘un pedone dell’economia
che vuole rivolgersi ad altri pedoni dell’economia’.
Intellettuale
raffinato, Jean Robert si trasferì a Cuernavaca, in Messico, nel 1972, attratto
dalle idee di Ivan Illich e del suo famoso CIDOC, Centro di Documentazione
Interculturale, che dal 1966 al 1976 fu punto di incontro di rappresentanti del
pensiero critico del tempo, provenienti da tutto il mondo. Al CIDOC stabilì con
Illich una fraterna amicizia e una intensa collaborazione durata fino alla
morte di questi, nel 2002. E ‘illichiana’ è la sua interpretazione della crisi
e dei suoi possibili sbocchi. Jean Robert è autore di vari libri, di cui alcuni
pubblicati in Italia: Tempo rubato (Red,1992) e La potenza dei poveri,
scritto con Majid Rahnema (Jaca Book, 2010).
In
questa terminologia si ritrova una delle idee centrali di Marx, e Antonio
Tricarico, nella prefazione all’edizione italiana, non manca di notare che
«Jean Robert incarna una lettura post-marxista a tutti gli effetti, ponendo le
basi per un’evoluzione del pensiero filosofico marxiano nel solco di Ivan
Illich e della sua critica strutturale del concetto egemone di sviluppo che
ha segnato gli ultimi sei decenni della nostra storia».
Il
libro, avverte l’autore, «non è un semplice resoconto giornalistico sullo
sviluppo della crisi», che pure viene offerto con precisione nel primo
capitolo, ma ‘vuole proporre alcune piste da percorrere» per «evitare che il
rimedio sia peggiore del male», come recita il sottotitolo. Alla descrizione
dei fatti segue una imprescindibile analisi delle varie interpretazioni della
crisi fatte da studiosi dell’economia e della finanza. Per loro, dice Robert,
«i fatti finanziari sono autoreferenziali (…) risultato della esteriorizzazione
di cause endogene percepite come se fossero esogene».
Ma
queste interpretazioni per Robert mostrano una carenza grave: trascurano
l’effetto di scala e l’effetto grandezza dei fenomeni, cioè ignorano gli autori
che «hanno esplorato la relazione dimensionale fra la grandezza e il
repertorio di forme possibili nella natura, nella società, nella storia e nella
tecnica», e fra questi in particolare Leopoldo Kohr, il maestro di Ernst
Schumacher, l’autore di Piccolo è bello. La dimensione delle banche
«troppo grandi per fallire» è appunto un esempio di questa ignoranza dell’effetto
grandezza. In questa parte di critica delle teorie in voga l’autore dimostra
una grande padronanza delle teorie più avanzate nel campo delle scienze
matematiche implicate nell’odierno pensiero economico.
La
‘Crisi’ con la C maiuscola, aveva previsto Ivan Illich già negli anni settanta,
ci mette di fronte a una scelta: o perseverare in questo disastroso percorso
che la ha provocata o assumerla come opportunità di un cambiamento radicale.
Egli aveva scritto: Il vocabolo crisi indica oggi il momento in cui medici,
diplomatici, banchieri e tecnici sociali di vario genere prendono il
sopravvento e vengono sospese le libertà. Come i malati, i Paesi diventano casi
critici. Crisi, parola greca che in tutte le lingue moderne ha voluto dire
“scelta” o “punto di svolta”, ora sta a significare: “Guidatore, dacci
dentro!”. Evoca cioè una minaccia sinistra, ma contenibile mediante un
sovrappiù di denaro, di manodopera e di tecnica gestionale. Queste parole di
Illich risalgono al 1978, The Right to Useful Unemployement. La traduzione è
tratta dall’edizione italiana: Disoccupazione creativa, Boroli editore,
Milano 2005, pag.20.
Il
perseverare sembra ormai essere la scelta fatta dai ‘guidatori’, coloro che
stanno in alto (grandi banchieri, grandi speculatori, politici a loro servizio
…), mentre l’altra, quella del cambiamento, è diventata imprescindibile
necessità di coloro che stanno in basso, se vogliono continuare ad esistere. E
qui Robert prende posizione: «Chi scrive questo saggio ritiene che adattarsi
‘a quel che viene’ sia un atto di capitolazione e che ci siano modi creativi di
continuare a sapersi in crisi». Con una esperienza personale delle
resistenze ogni giorno più emergenti dei campesinos e dei popoli
indigeni latinoamericani, in primis gli indigeni maya del Chiapas, l’autore
individua l’alternativa nella ricostruzione delle autonomie territoriali,
accompagnata dall’insurrezione dei saperi alternativi, mortificati e
disprezzati, e nell’impegno per «ricuperare, quando ancora esistono, o
reinventare gli ambiti comunitari, gli usi civici, i commons»
Realtà
possibile o immaginazione? Possibile, per Robert, con un «soprassalto di
libertà», che non è «un’utopia» ma il «suo esatto contrario», perché questo è
stato il fondamento delle culture nella maggior parte della storia.
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