lunedì 9 febbraio 2015

Jean Robert, "La rapina impunita", 2014

Jean Robert - LA RAPINA IMPUNITA – COME EVITARE CHE IL RIMEDIO SIA PEGGIORE DEL MALE  2014, pagg 234 Ediz. Museodei, Riola (Bologna)  www.museodei.com  


Un libro sulla ‘crisi’ scritto da uno storico dell’urbanistica criticamente attento ai problemi della mobilità, costituisce una singolarità interessante. Non è quindi sorprendente che l’autore si definisca ‘un pedone dell’economia che  vuole rivolgersi ad altri pedoni dell’economia’.

Intellettuale raffinato, Jean Robert si trasferì a Cuernavaca, in Messico, nel 1972, attratto dalle idee di Ivan Illich e del suo famoso CIDOC, Centro di Documentazione Interculturale, che dal 1966 al 1976 fu punto di incontro di rappresentanti del pensiero critico del tempo, provenienti da tutto il mondo. Al CIDOC stabilì con Illich una fraterna amicizia e una intensa collaborazione durata fino alla morte di questi, nel 2002. E ‘illichiana’ è la sua interpretazione della crisi e dei suoi possibili sbocchi. Jean Robert è autore di vari libri, di cui alcuni pubblicati in Italia: Tempo rubato (Red,1992) e La potenza dei poveri, scritto con Majid Rahnema (Jaca Book, 2010).
Questo libro apre con una lunga introduzione avente per titolo : La crisi è solo una rapina di denaro? Certamente no, è la risposta di Robert, ricordando che Illich descriveva il capitalismo come un sistema operante trasferimenti netti di privilegi dai poveri ai ricchi: espropriazione di plusvalore, degradazione del lavoro domestico a lavoro ombra a servizio dell’accumulazione del capitale, sfruttamento degli ambiti di sussistenza, espropriazione del tempo di vita, distruzione dei saperi popolari, sfruttamento dei poveri. E questo avviene tramite una guerra sempre più estesa del capitalismo contro le economie vernacolari, ovvero, nel gergo illichiano, ‘contro la sussistenza’, quelle economia nelle quali il valore d’uso predomina sul valore di scambio. Fino ad essersi oggi estesa all’intero pianeta grazie alla ‘globalizzazione’.

In questa terminologia si ritrova una delle idee centrali di Marx, e Antonio Tricarico, nella prefazione all’edizione italiana, non manca di notare che «Jean Robert incarna una lettura post-marxista a tutti gli effetti, ponendo le basi per un’evoluzione del pensiero filosofico marxiano nel solco di Ivan Illich e della sua critica strutturale del concetto egemone di sviluppo che ha segnato gli ultimi sei decenni della nostra storia».

Il libro, avverte l’autore, «non è un semplice resoconto giornalistico sullo sviluppo della crisi», che pure viene offerto con precisione nel primo capitolo, ma ‘vuole proporre alcune piste da percorrere» per «evitare che il rimedio sia peggiore del male», come recita il sottotitolo. Alla descrizione dei fatti segue una imprescindibile analisi delle varie interpretazioni della crisi fatte da studiosi dell’economia e della finanza. Per loro, dice Robert, «i fatti finanziari sono autoreferenziali (…) risultato della esteriorizzazione di cause endogene percepite come se fossero esogene».

Ma queste interpretazioni per Robert mostrano una carenza grave: trascurano l’effetto di scala e l’effetto grandezza dei fenomeni, cioè ignorano gli autori che «hanno esplorato la relazione dimen­sionale fra la grandezza e il repertorio di forme possibili nella natura, nella società, nella storia e nella tecnica», e fra questi in particolare Leopoldo Kohr, il maestro di Ernst Schumacher, l’autore di Piccolo è bello. La dimensione delle banche «troppo grandi per fallire» è appunto un esempio di questa ignoranza dell’effetto grandezza. In questa parte di critica delle teorie in voga l’autore dimostra una grande padronanza delle teorie più avanzate nel campo delle scienze matematiche implicate nell’odierno pensiero economico.

La ‘Crisi’ con la C maiuscola, aveva previsto Ivan Illich già negli anni settanta, ci mette di fronte a una scelta: o perseverare in questo disastroso percorso che la ha provocata o assumerla come opportunità di un cambiamento radicale. Egli aveva scritto: Il vocabolo crisi indica oggi il momento in cui medici, diplomatici, banchieri e tecnici sociali di vario genere prendono il sopravvento e vengono sospese le libertà. Come i malati, i Paesi diventano casi critici. Crisi, parola greca che in tutte le lingue moderne ha voluto dire “scelta” o “punto di svolta”, ora sta a significare: “Guidatore, dacci dentro!”. Evoca cioè una minaccia sinistra, ma contenibile mediante un sovrappiù di denaro, di manodopera e di tecnica gestionale. Queste parole di Illich risalgono al 1978, The Right to Useful Unemployement. La traduzione è tratta dall’edizione italiana: Disoccupazione creativa, Boroli editore, Milano 2005, pag.20.

Il perseverare sembra ormai essere la scelta fatta dai ‘guidatori’, coloro che stanno in alto (grandi banchieri, grandi speculatori, politici a loro servizio …), mentre l’altra, quella del cambiamento, è diventata imprescindibile necessità di coloro che stanno in basso, se vogliono continuare ad esistere. E qui Robert prende posizione: «Chi scrive questo saggio ritiene che adattarsi ‘a quel che viene’ sia un atto di capitolazione e che ci siano modi creativi di continuare a sapersi in crisi». Con una esperienza personale delle resistenze ogni giorno più emergenti dei campesinos e dei popoli indigeni latinoamericani, in primis gli indigeni maya del Chiapas, l’autore individua l’alternativa nella ricostruzione delle autonomie territoriali, accompagnata dall’insurrezione dei saperi alternativi, mortificati e disprezzati, e nell’impegno per «ricuperare, quando ancora esistono, o reinventare gli ambiti comunitari, gli usi civici, i commons»

Realtà possibile o immaginazione? Possibile, per Robert, con un «soprassalto di libertà», che non è «un’utopia» ma il «suo esatto contrario», perché questo è stato il fondamento delle culture nella maggior parte della storia.


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