Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it
Nella Toscana nord-occidentale c'è un rettangolo di costa, lungo quattro chilometri e largo poco più di uno, che prende il nome di Ronchi, per il suo carattere di bosco e macchia, e di Poveromo, per la presenza di un vecchio fosso scolmatore delle acque, a cui chi sa chi, ha dato questo strano nome. A chi osserva la costa dall'alto, questo rettangolo appare come una superficie verde, residuo di una successione di boschi, macchia mediterranea, dune e paludi, che si estendeva dalla foce della Magra fino a Livorno.
Col passare del tempo varie bonifiche, lo sfruttamento del legname dei boschi, le ondate successive di urbanizzazione costiera hanno tagliato e spezzettato gran parte di questo ecosistema la cui spiaggia era governata dalla forza delle onde e del vento, dal flusso delle acque e della sabbia dei tre grandi fiumi: Magra a nord, poi, a sud, Serchio e Arno. I quattro magici chilometri di Ronchi e Poveromo ancora negli anni trenta apparivano selvaggi, bellissimi e silenziosi tanto da attrarre scrittori, pittori, intellettuali. Se ne trovano tracce e ricordi negli scritti di Calamandrei, padre e figlio, di Alberto Savinio, di Prezzolini e di tanti altri.