Aldo Zanchetta
Molte e diverse le sensazioni
provate leggendo il libro Invisibili?
- Donne latinoamericane contro il
neoliberismo. di Laura Fano Morissey.
Quando, vari giorni or sono,
ricevetti una mail con la quale l’autrice chiedeva il mio indirizzo per inviare,
scriveva, un libro centrato sulle lotte, in patria e fuori, delle donne
latinoamericane, pensai: “un’altra persona che sull’onda dell’entusiasmo di una
episodica esperienza nel mondo de abajo (in basso) latinoamericano
-quello in cui si sviluppano le ribellioni fra le più creative e convincenti
contro l’oppressione di quelli arriba
(in alto)- ha sentito il bisogno di
esprimere in uno scritto la sua scoperta
prima ancora di averla digerita.
Pre-giudizio rivelatosi
ingeneroso fin dalle prime pagine, che mi hanno avvinto e a tratti commosso.
L’autrice, antropologa specializzata in America Latina, con una consistente esperienza sul campo, in Messico, Brasile e Colombia, mostra una profonda conoscenza del mondo del quale scrive, senza divagazione alcuna né indulgenza a quella retorica che spesso dilaga nella descrizione di drammatiche realtà latinoamericane.
L’autrice, antropologa specializzata in America Latina, con una consistente esperienza sul campo, in Messico, Brasile e Colombia, mostra una profonda conoscenza del mondo del quale scrive, senza divagazione alcuna né indulgenza a quella retorica che spesso dilaga nella descrizione di drammatiche realtà latinoamericane.
Il libro gode di una ampia
prefazione di Alessandra Riccio, storica direttrice prima e condirettrice oggi
della rivista Latinoamerica, e una
incisiva postfazione di Gustavo Estev. I suoi obiettivi sono ben indicati nella
‘Piccola introduzione’ dell’autrice: rendere giustizia al ruolo che le donne,
nel mondo indigeno come in quello dei movimenti, giocano nella resistenza al
neoliberismo e nella costruzione di un mondo altro in quella regione poco
propriamente definita America Latina, come anche dell’alto prezzo che pagano,
sia restandovi che essendo necessitate a emigrare.
Il libro alterna infatti, in un
ordito abile e attraente, sia il racconto di lotte che esse conducono in patria
che dei drammi che spesso devono affrontare come migranti per poter sovvenire
alle notevoli difficoltà di famiglie spesso numerose e spesso allargate a figli
altrui, rimaste sulle loro spalle.
Il tutto con un uso sobrio e
preciso del linguaggio, che con frasi calibrate riesce a descrivere situazioni
complesse senza decurtarle o travisarle, non trascurando di ricordare la
possibilità di letture dei fatti esposti diverse da quella proposta. Mi
riferisco alle quattro analisi di contesti latinoamericani nei quali le donne
hanno dato un contributo importante, in certi casi forse primario, alle
ribellioni in corso: in Chiapas, in Bolivia, in Argentina, e in Venezuela. Il
tutto dopo aver ricordato come è avvenuta la costruzione dell’America latina e
della sua “reinvenzione” a cui hanno contribuito, ricorda l’autrice, le
elezioni di Hugo Chávez in Venezuela, di Evo Morales in Bolivia, di Rafael
Correa in Ecuador, di Lula da Silva in Brasile e di Néstor Kirchner in
Argentina, “pur con tutti i loro limiti e differenze”. E, aggiunge, “Tuttavia
la più grande minaccia per questo processo di reinvenzione dell’America Latina
viene proprio da quegli stessi governi che lo avevano iniziato”. Bastano queste
poche parole a evidenziare come l’autrice sia bene informata e rifugga dalla
stancante retorica sui ‘governi progressisti’ come dall’idealizzazione dei
movimenti sociali che hanno portato questi personaggi al governo per poi
doverne prenderne le distanze. Una lettura non scontata delle dinamiche in
corso.
Ad ognuno di questi contesti
esaminati Laura Fano alterna le parole
di donne migranti che da questi contesti provengono, spinte dalla necessità e
dalla speranza di poter ricreare migliori condizioni di vita per loro stesse ma
soprattutto per i propri figli e le proprie famiglie:
Questa parte, il racconto in
prima persona di sei donne emigrate in Italia, è stata per me la più nuova e
conturbante: María, peruviana, Marcela, colombiana, Rose, brasiliana, Beatriz,
argentina, Rosa, nicaraguense, e Yanet, cubana.
Quante volte, ospite in città
italiane in casa di amici benestanti, ho incontrato la presenza di
‘collaboratrici domestiche’ latinoamericane, sempre dignitose, sempre
riservate, quasi sempre col volto velato di mestizia e, nelle poche parole
scambiate, con una nostalgia struggente del proprio paese e dei propri
cari lontani. E quante volte non ho intuito
i drammi che potevano celarvisi dietro, le vite spezzate che potevano occultare
e i sogni tuttavia ancora in costruzione che potevano coltivare.
Un libro che mi ha arricchito, o,
per usare le parole di Esteva, che mi ha fatto intensamente sentipensare sia nel ripensare a
distanza contesti che ho conosciuti dal
di dentro, sia nello sguardo nuovo che non potrò non avere in occasione dei
futuri incontri con donne migranti. Un libro importante per chi questi contesti
ha conosciuto in prima persona ma anche per chi, non essendo mai stato in
America Latina incontra figlie di questa
parte del mondo, magari nella propria casa, o nel volto e nelle parole di un
incontro casuale.
Naturalmente, cosa del resto
prevista dall’autrice come possibile, in alcune letture di eventi non mi sono
ritrovato del tutto, come nell’assenza di qualche nome, ma soprattutto nei
troppo brevi e quindi troppo semplificati richiami alle storie recenti dei
paesi da cui queste donne sono partite per affrontare l’avventura italiana. Ma
probabilmente ne avrebbe perso la centralità delle voci di queste donne, una
lettura impagabile. Un “libro frutto del caso”. Un caso felice, senza ombra di
dubbio!
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