martedì 6 gennaio 2015

Laura Fano Morissey, "Invisibili ?"

Aldo Zanchetta

Molte e diverse le sensazioni provate leggendo il libro Invisibili? - Donne latinoamericane contro il neoliberismo. di Laura Fano Morissey.
Quando, vari giorni or sono, ricevetti una mail con la quale l’autrice chiedeva il mio indirizzo per inviare, scriveva, un libro centrato sulle lotte, in patria e fuori, delle donne latinoamericane, pensai: “un’altra persona che sull’onda dell’entusiasmo di una episodica esperienza nel mondo  de abajo (in basso) latinoamericano -quello in cui si sviluppano le ribellioni fra le più creative e convincenti contro l’oppressione di quelli arriba (in alto)-  ha sentito il bisogno di esprimere  in uno scritto la sua scoperta prima ancora di averla digerita.
Pre-giudizio rivelatosi ingeneroso fin dalle prime pagine, che mi hanno avvinto e a tratti commosso. 



L’autrice, antropologa specializzata in America Latina, con una consistente esperienza sul campo, in Messico, Brasile e Colombia, mostra una profonda conoscenza del mondo del quale scrive, senza divagazione alcuna né indulgenza a quella retorica che spesso dilaga nella descrizione di drammatiche realtà latinoamericane.
Il libro gode di una ampia prefazione di Alessandra Riccio, storica direttrice prima e condirettrice oggi della rivista Latinoamerica, e una incisiva postfazione di Gustavo Estev. I suoi obiettivi sono ben indicati nella ‘Piccola introduzione’ dell’autrice: rendere giustizia al ruolo che le donne, nel mondo indigeno come in quello dei movimenti, giocano nella resistenza al neoliberismo e nella costruzione di un mondo altro in quella regione poco propriamente definita America Latina, come anche dell’alto prezzo che pagano, sia restandovi che essendo necessitate a emigrare.
Il libro alterna infatti, in un ordito abile e attraente, sia il racconto di lotte che esse conducono in patria che dei drammi che spesso devono affrontare come migranti per poter sovvenire alle notevoli difficoltà di famiglie spesso numerose e spesso allargate a figli altrui,  rimaste sulle loro spalle.
Il tutto con un uso sobrio e preciso del linguaggio, che con frasi calibrate riesce a descrivere situazioni complesse senza decurtarle o travisarle, non trascurando di ricordare la possibilità di letture dei fatti esposti diverse da quella proposta. Mi riferisco alle quattro analisi di contesti latinoamericani nei quali le donne hanno dato un contributo importante, in certi casi forse primario, alle ribellioni in corso: in Chiapas, in Bolivia, in Argentina, e in Venezuela. Il tutto dopo aver ricordato come è avvenuta la costruzione dell’America latina e della sua “reinvenzione” a cui hanno contribuito, ricorda l’autrice, le elezioni di Hugo Chávez in Venezuela, di Evo Morales in Bolivia, di Rafael Correa in Ecuador, di Lula da Silva in Brasile e di Néstor Kirchner in Argentina, “pur con tutti i loro limiti e differenze”. E, aggiunge, “Tuttavia la più grande minaccia per questo processo di reinvenzione dell’America Latina viene proprio da quegli stessi governi che lo avevano iniziato”. Bastano queste poche parole a evidenziare come l’autrice sia bene informata e rifugga dalla stancante retorica sui ‘governi progressisti’ come dall’idealizzazione dei movimenti sociali che hanno portato questi personaggi al governo per poi doverne prenderne le distanze. Una lettura non scontata delle dinamiche in corso.
Ad ognuno di questi contesti esaminati  Laura Fano alterna le parole di donne migranti che da questi contesti provengono, spinte dalla necessità e dalla speranza di poter ricreare migliori condizioni di vita per loro stesse ma soprattutto per i propri figli e le proprie famiglie:
Questa parte, il racconto in prima persona di sei donne emigrate in Italia, è stata per me la più nuova e conturbante: María, peruviana, Marcela, colombiana, Rose, brasiliana, Beatriz, argentina, Rosa, nicaraguense, e Yanet, cubana.
Quante volte, ospite in città italiane in casa di amici benestanti, ho incontrato la presenza di ‘collaboratrici domestiche’ latinoamericane, sempre dignitose, sempre riservate, quasi sempre col volto velato di mestizia e, nelle poche parole scambiate, con una nostalgia struggente del proprio paese e dei propri cari  lontani. E quante volte non ho intuito i drammi che potevano celarvisi dietro, le vite spezzate che potevano occultare e i sogni tuttavia ancora in costruzione che potevano coltivare.
Un libro che mi ha arricchito, o, per usare le parole di Esteva, che mi ha fatto intensamente sentipensare sia nel ripensare a distanza contesti che ho conosciuti  dal di dentro, sia nello sguardo nuovo che non potrò non avere in occasione dei futuri incontri con donne migranti. Un libro importante per chi questi contesti ha conosciuto in prima persona ma anche per chi, non essendo mai stato in America Latina  incontra figlie di questa parte del mondo, magari nella propria casa, o nel volto e nelle parole di un incontro casuale.
Naturalmente, cosa del resto prevista dall’autrice come possibile, in alcune letture di eventi non mi sono ritrovato del tutto, come nell’assenza di qualche nome, ma soprattutto nei troppo brevi e quindi troppo semplificati richiami alle storie recenti dei paesi da cui queste donne sono partite per affrontare l’avventura italiana. Ma probabilmente ne avrebbe perso la centralità delle voci di queste donne, una lettura impagabile. Un “libro frutto del caso”. Un caso felice, senza ombra di dubbio!


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