martedì 6 gennaio 2015

G. Germani, "Rileggendo Tiziano Terzani"

Aldo Zanchetta

Gloria Germani, “Rileggendo Tiziano Terzani ‘Verso la rivoluzione della coscienza’”,  Milano, Jaca Book, 126 pagine.

Scrisse una volta Ivan Illich : “Considero che un atto è rivoluzionario solo quando la sua apparizione all’interno di una cultura stabilisce in modo irrevocabile e significativo una nuova possibilità, vale a dire una trasgressione dei limiti culturali che apre un nuovo processo”. Non sono molti gli scrittori che hanno compiuto questo genere di atti rivoluzionari. Illich e Terzani rientrano fra questi. Personaggi fra loro diversi per molti versi, essi ebbero in comune la capacità di muovere una critica radicale alla società occidentale, alla sua autoreferenzialità e in particolare alla sua più moderna perversione, quella di voler imporre ai popoli tutti un unico modello culturale tramite la promozione dello “sviluppo”, questa nefasta “credenza occidentale” (G.Rist)


La liberazione dalla pesante cappa intellettuale che acceca la nostra cosmovisione, ritenuta presuntuosamente punto di arrivo inevitabile e desiderabile dei popoli ‘sottosviluppati,’ avvenne per entrambi attraverso i piedi. I piedi? Proprio così, in senso figurato ma anche reale. Illich in America latina e Terzani in Asia vestirono i panni del viandante e camminarono a lungo, a piedi appunto, mescolandosi alla ‘gente comune’ di quelle terre. E così, liberi da pregiudizi e supponenze, scoprirono i giacimenti di saggezza diffusi fra i contadini, gli artigiani, i boscaioli, etc. e i loro ‘gurù’. Ed entrambi trovarono ad es. in Gandhi un maestro cui riferirsi.
Un solo breve cenno ad un’altra esperienza che fu comune ai due, quella del cancro che mise a dura prova le loro vite e che alla fine vinse la loro resistenza fisica, dopo però averne fortificato lo spirito e arricchita la riflessione. Come scrive Gloria Germani nel libro, riferendosi a Terzani, egli “non è imprigionato dalla paura di morire e ciò gli permette di guardare la malattia e la cura con eccezionale lucidità e distacco”. Cura, che nel caso di Illich, venne rifiutata perché l’intervento operatorio alla testa avrebbe potuto ledere le facoltà cerebrali, privandolo della piena responsabilità di gestire la propria vita.
Sarebbe stimolante approfondire le posizioni di entrambi riguardo ad alcuni temi cruciali del nostro tempo, il sapere scientifico, la colonizzazione della mente, le relazioni fra le culture etc. arricchendo così reciprocamente la lettura di entrambi, evidenziando punti di convergenza ed anche inevitabilmente di divergenza. Un lavoro che andrebbe molto al di là delle intenzioni di queste note sul libro e che l’autrice accenna in un paio di occasioni. Ma è certo, mi sembra, che li unisca la coraggiosa e impopolare battaglia contro l’economia. Una bestemmia, per l’intera sfasata classe politica che ci governa.
Personalmente non so se sia l’uno che l’altro siano correttamente inscrivibili nella genealogia della decrescita, termine che non appare nei loro scritti. E’ però certo che la loro critica radicale alla ‘modernità’ e all’idolatria delle merci, di cui essa è portatrice, può avere contribuito in modo sostanziale alla nascita di questa corrente di pensiero con la quale simpatizzo ma non mi identifico. Mi parrebbe infatti che la loro acuta analisi e la loro ampia apertura di orizzonti su altre cosmovisioni e su altri mondi anche per noi possibili –e sempre più necessari- potrebbe venire imbrigliata e limitata da un percorso di elaborazione, seppur necessario, di più o meno precise politiche economiche alternative.
Ma se, come dice Latouche, che della corrente della decrescita nelle sue varie derivazioni, è certo l’artefice, questa richiede innanzi tutto una ‘decolonizzazione’ della mente, certamente la lettura delle opere di Illich e Terzani, più che di altri, costituisce un passaggio obbligato.
Ho apprezzato particolarmente che questo agile e ben calibrato libro mi abbia sollecitato, ad anni di distanza, a rileggere nuovamente Terzani. L’autrice, che di Terzani è certamente la biografa più appropriata per proporre questa rilettura, ci invita a farlo sia con una densa ancorché breve sintesi degli aspetti principali del pensiero di Terzani sia con una breve e ben scelta piccola antologia dei suoi scritti. Un libro di cui consiglio la lettura e anche di esercizio dell’arte del dono, su cui Latouche, descrivendola come base di altre ‘economie’, ci ha edotti.



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