https://archive.org/details/sirhenrybessemer00bessuoft
Vi immaginate ”Il Corriere della Sera" o "la Repubblica" che, in prima pagina, riportano integralmente il testo di una ricerca su una nuova invenzione, con tutti i dettagli ? Eppure una cosa simile avvenne in Inghilterra con il quotidiano “Times”, il più grande del paese, il 14 agosto 1856. Il “Times” pubblicò per intero la relazione presentata due giorni prima (badate anche alle date: era la vigilia di quello che per noi sarebbe il ferragosto, un periodo generalmente di stanca) alla riunione dell’Associazione britannica delle Scienze a Cheltenham, da Henry Bessemer, scienziato, imprenditore e inventore del primo processo per la fabbricazione su larga scala dell’acciaio..
Quel
1856 cambiò letteralmente il mondo: l’acciaio, da metallo costoso, diventò un
materiale che poteva essere prodotto a basso prezzo, in grandissima quantità, e
che poteva essere impiegato per fabbricare non più solo i cannoni, ma anche
rotaie ferroviarie, caldaie, locomotive, travi, ponti, navi, macchine tessili,
caldaie per zuccherifici, eccetera.
Bessemer,
che era nato nel 1813, ha raccontato lui stesso la propria vita, o meglio la
propria avventura umana, in una affascinante autobiografia. All’invenzione del “processo” che oggi porta il suo nome, Bessemer arrivò dopo
una serie di imprese nel campo della fusione del vetro e di altri metalli. Ma
era l’acciaio il materiale strategico per eccellenza, che attirava la sua
attenzione: in tutti i paesi industriali allora l’acciaio era fabbricato in due
fasi: dapprima i minerali di ferro venivano trattati con carbone coke e
trasformati nella ghisa, una lega di ferro e carbonio con un elevato contenuto di
carbonio (circa 3 o 4 per cento), per cui risulta fragile e di limitato
impiego. Per ottenere l’acciaio (una lega di ferro con meno dell’uno per cento
di carbonio) la ghisa doveva essere fusa insieme al costoso ferro dolce, praticamente privo di carbonio
e prodotto in Svezia. Dalle acciaierie svedesi dipendeva quindi lo sviluppo di
tutti i paesi industriali.
Bessemer
ebbe l’idea rivoluzionaria di eliminare il carbonio dalla ghisa scaldandola ad
alta temperatura in presenza dell’ossigeno dell’aria: in questo modo gran parte
del carbonio brucia e resta l’acciaio. Bessemer, dopo molti tentativi, costruì
un forno fatto a pera, con una stretta apertura rotonda in alto, rivestito
all’interno da mattoni refrattari. Il forno poteva essere fatto ruotare intorno
ad un asse orizzontale, per cui la bocca poteva, a volta a volta essere rivolta
verso l’alto, oppure verso il basso.
Sul
fondo della “pera” erano aperti dei fori per l’ingresso dell’aria calda sotto
pressione. Quando il forno era verticale, attraverso la bocca veniva versata
ghisa fusa, estratta direttamente dall’altoforno: a questo punto veniva fatta
entrare l’aria dal fondo. Durante la combustione del carbonio ad opera
dell’ossigeno, si liberava calore che teneva allo stato fuso l’acciaio a mano a
mano che si formava dalla ghisa. In un quarto d’ora la reazione era finita e il
forno veniva inclinato verso il basso in modo da far uscire l’acciaio fuso.
Il
processo funzionava senza consumo di energia (i problemi ecologici e di
economia delle risorse non li abbiamo certo inventati noi !) ed appariva, in
quella metà del 1800, una cosa da meritare, come si accennava all’inizio,
l’attenzione del più diffuso quotidiano inglese. Non c’è dubbio che il processo
Bessemer contribuì, più di qualsiasi altra invenzione, alla nascita della
società industriale moderna e del capitalismo.
Sta
di fatto che, appena letto l’articolo del “Times”, vari industriali francesi e
tedeschi si precipitarono a Londra per chiedere la cessione del brevetto. Il
processo Bessemer non era perfetto: non riusciva a trattare le ghise della
Lorena, ricche di fosforo, un problema risolto da Sidney Thomas (1850-1885) che
ricoprì l’interno del convertitori Bessemer con mattoni di calcare. Durante la
trasformazione della ghisa in acciaio il fosforo veniva fissato dal calcare
sotto forma di fosfato di calcio. Si trattava di un “rifiuto” che si rivelò
prezioso come concime fosfatico e che fu usato per oltre un secolo con il nome
di “Scorie Thomas”. Figuratevi che l’Italia ne importa una sia pur piccola quantità
ancora oggi dalla Francia.
Mi
dispiace di aver tediato i lettori con tanti dettagli tecnici, ma non potevo
farne a meno perché la storia di Bessemer e dell’acciaio ha ancora molte cose
da insegnare. Intanto si tratta di un concentrato di invenzioni grazie alle
quali sono stati risolti alcuni aspetti degli stessi problemi --- risparmio di
energia, riciclo dei rifiuti --- che oggi crediamo siano delle novità. In
realtà tutti in guai attuali che si traducono in conflitti e traffici su
discariche e inceneritori e inquinamenti, possono essere superati con nuove
invenzioni, proprio come fecero i nostri progenitori. L’unico inconveniente è
che occorrono nuovi appassionati, competenti e lungimiranti inventori.
Si
parla, per esempio, tanto oggi di “rottamazione”, ma le montagne di rottami
metallici avevano già cominciato ad accumularsi nel secolo scorso. Il processo
Bessemer era in grado di ottenere acciaio soltanto partendo dalla ghisa, non
dai rottami ferrosi: il problema fu risolto dallo studioso francese
Pierre-Emile Martin (1824-1915) che inventò, nel 1865, un forno (che si chiama
ancora oggi Martin-Siemens), in grado di fondere insieme ghisa e rottami,
riscaldati ad alta temperatura.
E’
vero che il processo richiedeva energia ottenuta bruciando carbone, ma la
formazione dell’acciaio avveniva più lentamente, poteva essere tenuta sotto
controllo, si potevano aggiungere altri metalli per ottenere le leghe richieste
dall’industria meccanica, e, infine, i forni Martin-Siemens erano molto grandi
e permettevano di ottenere, per unità di tempo, più acciaio di quanto non
consentissero i convertitori Bessemer.
All’inizio
del 1900 i forni Martin avevano soppiantato in gran parte il forno Bessemer, ma
anche per il processo Martin si stava affacciando un pericoloso concorrente.
Alcuni inventori e industriali austriaci avevano perfezionato il forno
Bessemer: introducendo, dal fondo, ossigeno puro, anziché aria, era possibile
ottenere acciaio dalla ghisa e dai rottami di ferro insieme, e addirittura
direttamente dai minerali di ferro.
Ormai
la metà dell’acciaio nel mondo è prodotta con il processo LD a ossigeno, che
era già perfezionato quando è stata avviata la nuova fase della siderurgia italiana dopo la Liberazione: ciò
ha consentito di costruire a Taranto un centro siderurgico dotato delle
tecniche più avanzate, al punto che ha potuto restare competitivo per alcuni
decenni.
La
produzione mondiale di acciaio si aggira nel 2013 intorno a 1400 milioni di
tonnellate all’anno; gran parte dei
rottami sono trasformati in acciaio con il forno elettrico che non ha più
bisogno di ghisa; l’acciaio che ha dominato le società industriali (al punto
che Stalin scelte il proprio nome di battaglia proprio dal nome dell’acciaio,
Stal), è soppiantato in molte applicazioni da altri metalli, da materie
plastiche e da nuovi materiali, soprattutto nel settore dell’automobile il cui
successo è stato possibile, un secolo fa, proprio dalla disponibilità di
acciaio a basso prezzo.
Ho
raccontato questa breve storia per due motivi. Dal “re acciaio” dipende gran parte della nostra vita: l’acqua che esce dai rubinetti e il gas da
riscaldamento, arrivano nelle nostre case attraverso migliaia di chilometri di
tubazioni di acciaio: le navi che trasportano attraverso gli oceani i cereali e
la carne, i trattori che dissodano i campi, innumerevoli macchinari, le
automobili e i vagoni ferroviari, le armature del cemento degli edifici --- e
anche le “lattine” della conserva di pomodoro --- sono tutti fatti di acciaio.
Infine,
la storia di Bessemer, e dei tanti inventori del suo tipo, suggerisce che, nel
mondo, nei paesi industrializzati e in quelli sottosviluppati, ci sono
innumerevoli problemi ancora da risolvere, che attendono studiosi, inventori,
ricerche. Si sente continuamente parlare di “occupazione” e di “lavoro”, ma il
lavoro serve per produrre merci e servizi e le une e gli altri dipendono da
oggetti materiali, da strumenti, da macchinari. Credo che la scuola, ma anche i
sindacati, potrebbero utilmente spiegare a coloro che cercano un lavoro, lungo
quali direzioni l’occupazione può essere trovata, quali innovazioni sono
all’orizzonte, di che cosa hanno bisogno i seimila milioni di abitanti della
Terra e quali beni materiali possono soddisfare tali bisogni. Se Bessemer, o
Martin, o tutti gli altri, avessero basato la propria sorte sugli oroscopi, sui
giochini televisivi e sui concorsi a premi, saremmo, davvero, ancora ai tempi
delle candele.
Nessun commento:
Posta un commento