mercoledì 17 novembre 2010

N.Nicolini, "Il pane attossicato, Storia dei fiammiferi in Italia",1997

Nicoletta Nicolini, "Il pane attossicato. Storia dei fiammiferi in Italia", Bologna, “Documentazione Scientifica Editrice”, 1997

Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

Alla fine dell’Ottocento il regno d’Italia aveva disperato bisogno di quattrini dopo le costose stangate prese nella guerra di Abissinia (1895-1896) e dopo i moti di protesta per il caro pane che il feroce generale Fiorenzo Bava Beccaris (1831-1924) aveva soffocato nel sangue nel giugno 1898. L’idea di unificare le grandi fabbriche di fiammiferi e di creare un monopolio statale per riscuotere una fruttuosa imposta su un genere di così grande necessità come i fiammiferi, sembrava geniale ai governi che si succedevano senza tregua, spesso senza il controllo del Parlamento. Il “cartello” fra produttori avrebbe gettato sul lastrico migliaia di piccoli fabbricanti e i loro sventurati operai.

Sventurati davvero perché la produzione dei fiammiferi era una delle manifatture più pericolose e nocive. I fiammiferi erano allora fabbricati tagliando dei pezzetti di legno, immergendoli in una massa fusa e fumosa di fosforo bianco e lasciando essiccare all’aria la capocchia. I fiammiferi si accendevano sfregandoli su una superficie ruvida.
Si trattava di un’industria relativamente giovane; la tecnica di fabbricazione dei fiammiferi era stata perfezionata intorno al 1840, dopo che era stato messo a punto anche un processo per la produzione del fosforo. La materia prima era rappresentata dai fosfati minerali e dalle ceneri delle ossa, contenenti fosfato di calcio; per trattamento con acido solforico, altro prodotto dell’industria chimica nascente, si otteneva l’acido fosforico che veniva poi trattato con carbone e trasformato in fosforo. Ho parlato prima di fosforo bianco perché il fosforo esiste in due forme chimicamente identiche, ma diverse come tossicità. Il fosforo bianco, più facile da ottenere e più economico, ma molto tossico, era usato per i fiammiferi; col fosforo rosso, molto meno tossico, era più difficile produrre i fiammiferi.

Lavorare in spazi ristretti, pieni di fumi, rappresentava una delle più gravi fonti di mortalità sul lavoro: si trattava di alcune decine di migliaia di persone, per lo più donne e bambini, che letteralmente mangiavano “pane e fosforo”. “Il pane attossicato”, infatti, è proprio il titolo di un libro che offre uno sguardo agghiacciante su un oltre un secolo di morti e incidenti. L’autrice, Nicoletta Nicolini, una chimica e una storica, ripercorre il lungo intreccio di rapporti fra industriali e governo, da una parte, e la voce di coloro che difendevano la salute dei lavoratori, sparsi in alcuni grandi stabilimenti, ma anche in decine di fabbrichette presenti in tutta Italia, talvolta nelle cantine delle case.

Nel corso di oltre mezzo secolo il fosforo bianco dei fiammiferi è stato causa di morti anche fuori dalle fabbriche; a parte la nuova moda del suicidio per ingestione delle capocchie degli ”zolfanelli”, erano numerosi i casi di intossicazione per contatto accidentale, specialmente nelle campagne, con il fosforo dei fiammiferi, fino ai bambini che si ustionavano per l’accensione accidentale dei fiammiferi con cui stavano giocando. In un libro “pedagogico”, ”Pierino Porcospino”, è raccontata la triste favoletta dell’imprudente Paolinella, ridotta in cenere per aver acceso i fiammiferi nonostante l’invito alla prudenza dei gatti di casa.

Le morti e le malattie si potevano evitare sostituendo il fosforo rosso a quello bianco; addirittura l’Italia aveva firmato accordi internazionali che vietavano l’uso del fosforo bianco. Ma gli industriali, con la complicità anche di alcuni grandi cattedratici e di vari parlamentari, riuscirono ad evitare i costi dei mutamenti tecnologici richiesti dal divieto dell’uso del fosforo bianco, rimandando l’entrata in vigore del divieto dal 1905 al 1924. Il libro citato è dedicato alle migliaia di giovani vite sacrificate, nel corso di quel ventennio, sull’altare del profitto e racconta gli intrighi di questa pagina sconosciuta della storia industriale ed economica italiana nell’Italia preunitaria poi di quella unita, fino alla prima guerra mondiale e all’avvento del fascismo. Tutti eventi visti attraverso gli occhi di piccoli imprenditori, di sconosciuti operai, di grandi affaristi.

Il libro racconta anche la lunga storia dell’imposta sui fiammiferi e dei tentativi per allontanare le industrie nocive dai centri urbani, due gruppi di eventi che ricevettero, a cavallo fra il XIX e il XX secolo, grande risonanza e furono oggetto di inchieste e dibattiti parlamentari, una importante e dimenticata pagina della storia della chimica e della storia politica.

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